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L’area della gestione delle risorse umane, sebbene rappresenti un “problema” simile e comune ad ogni tipo di azienda, è per lo più dominata e governata dall’intuito e l’istinto di responsabili più o meno illuminati, piuttosto che da un sapere condiviso e consolidato.

Auteri, già un decennio fa, aveva reso nota l’esistenza di stereotipi e luoghi comuni, che risultano ancora oggi attualissimi, che si traducono in slogan del tipo: le persone si motivano solo con i soldi!; capi si nasce! E luoghi comuni come “i collaboratori son duri a cambiare, non possiamo farci niente, ecc.”

Chi, a vario titolo, si occupa o si è occupato di persone, più che di risorse umane, sa bene che i soldi non bastano da soli a motivare i collaboratori, servono piuttosto coinvolgimento, responsabilizzazione, protagonismo, obiettivi e soprattutto delega. Un concetto quest’ultimo dai contorni ancora confusi e sfumati che riprenderemo più avanti.

È vero che a volte capi si nasce, ma solo a volte, molto spesso capi si diventa: per avanzamento di carriera, per merito, per ambizione, per esperienza. C’è chi si trova a fare il capo per scelta, chi per professione, chi per esigenze aziendali. C’è chi si improvvisa capo, chi possiede doti naturali e chi si sottopone a numerosi, variegati e spesso avventurosi corsi che si propongono di “insegnare” l’arte del capo. Leadership, delega, comunicazione, motivazione, organizzazione, team working, ecc. sono termini che riempiono articoli su blog, social, riviste specialiste così come l’offerta formativa rivolta a chi ha il ruolo di guidare, dirigire, decidere.

Rispetto all’attendibilità, o meglio, l’efficacia dei corsi che animano il panorama della formazione in Italia, spiccano per popolarità i servizi di coaching, i corsi motivazionali, i percorsi di crescita e sviluppo personale, proposte accomunate dal desiderio di scoprirsi, conoscersi, alimentare la propria autostima.

Esistono numerosi altri corsi e servizi rivolti a questa utenza, spesso concentrati sugli elementi “hard” più che sugli aspetti (soft, appunto) che consentono a un buon capo di cogliere le sfaccettature, di valorizzare le differenze, di riconoscere la particolarità, l’estro, la potenzialità di ogni persona con cui ha la fortuna di lavorare. Non basta aver riconosciuto un ruolo aziendale per essere un capo, figuriamoci un buon capo! Esistono in ogni azienda che si rispetti ruoli formali e ruoli informali. C’è il capo nominato e il capo scelto dal gruppo. C’è chi con forte carisma trascina le folle e chi è “sottomesso” alla volontà dei suoi stessi“sottoposti”. Ci sono tante figure di capo, almeno tante quante sono le realtà aziendali quotidiane, e per quanto possano esistere delle linee guida, dei corsi, dei percorsi ad indicare e spianare la strada che un buon capo percorre o dovrebbe percorrere, ogni specifica situazione ha un capo efficace e ideale nel rispondere a quella specifica situazione. Ma al di là delle situazioni ideali, un buon capo è colui che sa ascoltare, coinvolgere, organizzare, prendere decisioni con rapidità, delegare e fidarsi del lavoro dei propri collaboratori.

Un buon capo non può essere un tuttologo, non può saperne di ogni settore e di ogni ambito. Deve essere capace di ottenere il massimo dai propri collaboratori e di valorizzare quanto più possibile le specializzazioni di ognuno. Ma se da una parte fidarsi è bene, dall’altra parte, come direbbe il proverbio, non fidarsi è meglio. Delegare non significa demandare, scaricare, spostare compiti e responsabilità, scrollarsi di dosso qualcosa di poco urgente, noioso, stancante, rischioso. La delega prevede, di contro, gestione e controllo. Un buon capo controlla il più possibile e in prima persona fa il più possibile.

È l’esempio così come le giuste direzioni e decisioni a rendere un capo un buon capo. Non è per nulla vero che con i collaboratori non ci sia niente da fare per farli cambiare. A volte basta fare le cose giuste, attivare delle leve (formazione, avanzamento, sistema premiante, ecc.) capaci di risvegliare quella scintilla che accende ogni lavoratore, capo o collaboratore che sia.

FONTE: E. Auteri, 2004, Management delle risorse umane, Guerini Studio.

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