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Ti è mai capitato di andare ad un convegno per ascoltare degli esperti della tua materia e uscirne, a volte, annoiato a morte? Credo proprio di sì.

Proviamo a capire insieme perché e cosa si può fare. Ma soprattutto, scopriamo come potrebbero e dovrebbero cambiare i convegni per diventare più utili.

Cosa intendiamo quando diciamo convegno?

Un'attività formativa alla quale partecipano molte persone può assumere diverse forme e, di conseguenza, avere diversi nomi: convegno, conferenza, seminario, workshop, meeting, forum, corso... sono tutte attività diverse.

Per lo scopo di questo articolo, non ci servirà approfondirne le differenze, quindi utilizzerò il termine convegno come sinonimo delle diverse forme, intendendo comunque un'attività formativa svolta in una sala e rivolta ad un gruppo numeroso di persone (diciamo da 30 in sù).

Perché andiamo ai convegni?

Se spendiamo dei soldi e investiamo tempo per andare a un convegno, lo facciamo per ottenere qualcosa in cambio.

A volte andiamo per fare pubbliche relazioni, ma la maggior parte delle volte e per la maggior parte di persone, ciò che ci interessa è apprendere qualcosa di nuovo: una tecnica, una teoria, una pratica.

Un convegno, quindi, può essere considerato come un'attività formativa, ossia progettata per facilitare un apprendimento specifico.

In quanto attività formativa, nella quale abbiamo investito tempo e denaro, non possiamo non chiederci quanto sia stata utile la partecipazione a un certo convegno.

Per me, un convegno è utile quando grazie a esso ottengo qualcosa che posso usare nel mio lavoro: uno strumento, una teoria, un'idea, un'esperienza.

Quanto ricordiamo dei convegni ai quali abbiamo partecipato?

La maggior parte dei convegni utilizza sempre la stessa metodologia: la lezione frontale in un contesto da 1 a molti, quindi con una cattedra o un palco dal quale parla l'oratore e una platea in cui si accomoda il pubblico.

Alcuni oratori parlano a braccio, altri leggono il proprio intervento, altri - la maggioranza - si limitano a leggere le slide.

Nel primo caso, dipende dalla bravura dell'oratore. Un bravo affabulatore è in grado di rapire l'attenzione anche per una o due ore, ma cosa resta alla fine?

Quanto riusciamo a memorizzare e a portarci a casa dell'affascinante lectio magistralis che abbiamo appena ascoltato?

Un'idea? Un riferimento da cercare su google il giorno dopo?

Qual era quella cosa che ha detto quel tizio a quel convegno?

Di solito andiamo a un convegno sperando di portarci a casa ben più di un'idea!

Passiamo adesso ai "lettori", quelli che leggono il loro intervento. Se hanno preparato un discorso, di solito è un discorso articolato, lungo, pensato, magari anche interessante. Ma ogni volta non posso fare a meno di chiedermi: non faceva prima a pubblicare un articolo? O a inviare il testo via mail? Che valore aggiunge la lettura dal vivo?

I peggiori sono decisamente quelli che leggono le slide. Se un discorso può quantomeno essere articolato, le slide sono una noiosa sequenza di punti elenco e definizioni, spesso condite con immagini sgranate, animazioni inutili e combinazioni di colori improponibili. La tentazione di alzarsi e andarsene, in questi casi, è molto difficile da tenere a bada.

Ci sono modi diversi per fare formazione?

La formazione non è un settore che traina l'innovazione. La formazione va per lo più a rimorchio dei cambiamenti che avvengono nel mondo esterno o nel lavoro. È un servizio che cambia perché cambiano le esigenze e le aspettative delle persone e delle organizzazioni.

Un bravo formatore è uno che scorge prima degli altri i cambiamenti e ne coglie le implicazioni per le persone e per le aziende.

In questi ultimi anni, di cambiamenti ce ne sono stati parecchi e di conseguenza la formazione è cambiata molto, sia in ambito aziendale sia nei percorsi di sviluppo individuale, come i master.

Pensate ad esempio alla diffusione delle tecniche di formazione esperienziale, alla formazione tutoriale (coaching, mentoring), alla formazione a distanza e/o asincrona, ai programmi di formazione blended, che mettono insieme metodi e tecniche differenti.

Persino nella scuola si sperimentano strumenti e tecniche innovative: la lim, i tablet, approcci BYOD, mappe mentali o la flipped classroom.

Perché i convegni, invece, non cambiano mai?

Già, perché?

I convegni sono rimasti pressoché impermeabili all'innovazione, con le loro cattedre, le loro pedane, le platee, gli schermi per le diapositive, i saluti dell'assessore all'inizio e lo spazio per due-domande-due alla fine.

Il motivo principale per cui i convegni non cambiano è molto semplice: nonostante la buona fede degli organizzatori, i convegni non sono pensati per il pubblico pagante, ma per i relatori. Non sono attività formative, ma presentazioni, piccoli spettacoli più o meno riusciti. Non servono al pubblico per imparare qualcosa, ma agli speaker per mettersi in mostra. In molti casi, dovrebbero essere gli oratori a pagare il pubblico e non il contrario...

È possibile innovare un convegno?

Fino a qualche decennio fa era difficile fare qualcosa di diverso. Viaggiare, comunicare, scambiarsi informazioni e materiale da studiare non era semplice come adesso.

Fino a qualche decennio fa, quindi, la partecipazione diretta ad un convengo era davvero l'unico modo per ascoltare un esperto discutere di qualcosa che ci interessava.

Oggi non è più così. Oggi abbiamo accesso immediato ad articoli, video lezioni, registrazioni di convegni, interviste, slide, blog, podcast, ebook, ecc. Se vogliamo, possiamo farci un'idea di ciò che dirà il relatore ben prima di andare al convegno. Basta “googlare” e mettere insieme un paio di articoli e qualche video su YouTube per farci un'idea.

In più, oggi sappiamo quando gli adulti imparano meglio: quando possono collegare i nuovi apprendimenti alla loro esperienza, quando possono valorizzare le loro conoscenze, quando si sentono protagonisti attivi dell'apprendimento, quando possono tradurre ciò che hanno appreso in un cambiamento concreto del modo di fare le cose.

Il problema, quindi, non è che i convegni sono vecchi, ma che, man mano che è cambiato il mondo là fuori, la metodologia alla base dei convegni è diventata via via sempre meno efficace, rispetto a ciò sappiamo della formazione e rispetto a ciò che possiamo fare grazie alla tecnologia.

Come innovare un convegno?

Il modo più semplice per permettere agli adulti di apprendere in maniera attiva è quello di coinvolgerli in una interazione con il relatore. Cioè, molto banalmente, di permettere al pubblico di fare domande. E in effetti, in quasi tutti i convegni, è previsto uno spazio per le domande o per il famigerato dibattito.

Ma come è organizzato lo spazio per le domande? Di solito, male: è difficile prendere la parola, il tempo a disposizione è poco e c’è il rischio che qualcuno monopolizzi il microfono. Molte persone, inoltre, hanno bisogno di riflettere prima di pensare le domande.

Spesso, per innovare non è necessario inventarsi chissà quale idea rivoluzionaria, basta guardarsi intorno, prendere qualcosa che già funziona e trasferirla nel proprio ambito di competenza.

Una metodologia didattica che negli ultimi anni ha dimostrato di essere efficace, sia a scuola sia nella formazione per adulti è quella della classe rovesciata, o flipped classroom.

 

Che cos’è la Flipped Classroom?

La classe rovesciata funziona così:

1) si distribuiscono i materiali da studiare prima della lezione, attraverso una piattaforma informatica alla quale ciascuno si può collegare con il proprio dispositivo: possono essere slide, video, dispense, qualunque cosa.

2) le persone hanno il tempo di studiare il materiale, rifletterci, elaborare delle domande, porsi dei dubbi, fare dei collegamenti con altri saperi o altre competenze.

3) si utilizza l'aula per discutere tutti insieme del materiale studiato: si pongono le domande al docente, si manifestano i propri dubbi, ci si confronta.

La classe rovesciata funziona perché consente di utilizzare il tempo d'aula - quello più prezioso - per la rielaborazione e il confronto e non per un'attività che ciascuno può svolgere per conto suo, secondo i propri ritmi e le proprie modalità privilegiate.

 

Quindi, è possibile rovesciare anche un convegno?

Sì, certo. Ovviamente bisogna tenere conto della differenza tra un gruppo-aula di 20 persone che stanno facendo un percorso insieme e una folla di 100 che si incontrano per la prima volta: la metodologia della flipped classroom va adattata al contesto e al setting del convegno e non ci si può aspettare la stessa efficacia o la stessa fluidità che si possono avere in un'aula scolastica o in gruppo di studenti di un master o di discenti di un programma di formazione aziendale.

Ciò che si può fare è:

1) distribuire in anticipo i contenuti, utilizzando una piattaforma apposita: che siano video, slide, audio, testi. C'è solo l'imbarazzo della scelta.

2) Utilizzare la stessa piattaforma per raccogliere domande e osservazioni dal pubblico, in modo da capire quali sono le esigenze, le aspettative, i bisogni, le curiosità più pressanti.

3) Costruire degli interventi sulla base delle domande più utili o interessanti.

4) Utilizzare il palco e il tempo del convegno per rispondere alle domande, magari utilizzando anche in questo caso una piattaforma che consenta al pubblico di interagire in diretta, porre ulteriori domande e innescare altre discussioni e riflessioni.

Conclusione

Ci sono diverse metodologie innovative che possono essere utilizzate per rendere un convegno più efficace. La Flipped Classroom, probabilmente, è quella più facile da utilizzare già oggi, perché abbiamo a disposizione gli strumenti tecnologici necessari. Inoltre,  è una metodologia ormai abbastanza conosciuta: molti ne hanno sentito parlare o hanno avuto modo di sperimentarla in altri contesti.

Per contro, rovesciare un convegno, richiede uno sforzo maggiore sia agli organizzatori, sia ai relatori. E questo è forse uno dei motivi per cui di flipped conference ne vediamo ancora poche.

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